(...) in tutte le periferie dove l’indifferenza e la prepotenza saranno costanti mezzi di repressione ci sarà sempre un piccolo pezzo di gesso che segnerà di bianco il nero dell’asfalto.
Con questa frase riportata in margine al catalogo della mostra Limite secolo a cui l’artista partecipava nel ‘98, Cosimo Epicoco eleva a significato universale la difficoltà comune a tutte le periferie del mondo a mantenere la saldezza dell’identità culturale in luoghi spesso privi di necessità intellettuali.
La personale esperienza, esistenziale e di artista, maturata in terra di Puglia, fertile di idee e di artisti ma spesso priva di quell’intorno indispensabile a tare esprimere quelle idee e fare crescere quegli artisti al meglio, è per Epicoco, Mimmo per gli amici, elemento di riflessione che affida all’arte, laddove l’abbandono e l’indifferenza diventano le prerogative dell’esistere, il suo messaggio e il suo rifiuto di essere solo un pensiero negato o una lingua tagliata. E questo, in mancanza d’altro, manifestandolo con forza anche unicamente con il segno del gessetto a terra, che se ci rimanda, come fa, alla libertà del gioco infantile, forse l’unica libertà concessa in certe realtà emarginate, ci trasmette anche la volontà di chi vuole, nonostante tutto, marcare il territorio, delimitare uno suo spazio fisicoin cui dare voce al personale pensiero. Un pensiero che nel ‘98 Mimmo esercitava in pittura attraverso tele di pura luce e colore. In quegli anni, e ancora prima quando studiava pittura all’Accademia di Lecce, i suoi quadri sprigionavano e trasmettevano un suo modo particolare di esercitare la pittura informale di derivazione lirica, coglibile attraverso filtri interposti, garze imbibite di colore Che schermavano l’affioramento di crome brillantissime, tuttavia serrate all’interno d equilibri compositivi di natura classica.
E sono ancora garze imbevute di colore quelle che sovrappone ad opere su tavola come Visitors deI 2000: e liriche certezze di cui dotava la sua pittura sono qui ormai distanti, sostituite da un volto umano dolente e urlante, la cui bocca che trasuda umori i più non vorrebbero vedere.
Il ritorno alla figurazione, oltre a porsi nel solco di un odierno attraversamento trasversale di tutti linguaggi dell’arte caratterizzante la nostra epoca, è frutto in Epicoco di personali esperienze e considerazioni, che già in nuce presenti nella sua frase che si è data qui come premessa, è andato successivamente maturando a seguito del contatto quotidiano che per motivi didattici intrattiene con soggetti cerebrolesi, disabili e afflitti da vari tipi di handicaps mentali.
Tolte le garze imbevute di colore di cui rimangono solo e impronte sulle tavole, i volti schiacciati in primo piano di Distanze deI 2001 - opere che non casualmente precedono la sequenza intitolata Coni di questa mostra — diventano protagonisti della tragica bellezza! orrore della diversità, di cui, signorilmente, solitamente, non si vuole sapere. E’ come se le teorie darwiniane dell’evoluzione della specie verificabili nei tratti di volti considerati ancora allo stato di primati si concentrasse qui, in uno spazio intenzionalmente sospeso, dal quale cisi astiene, che non si vuole vedere perché i modelli di bellezza, gli standards condivisi sono altri, e ciò che fa pensare — e la diversità, di qualsiasi natura essa sia, fa pensare — incute disagio e desiderio di estraniazione.
Da queste importanti premesse Mimmo approfondisce sempre più la riflessione sul presente che lo circonda, la cui urgenza, già tutta dichiarata nel bisogno di marcare con il gessetto bianco Io spazio in cui dare voce al proprio pensiero, di cui si è detto, le garze imbevute di colore, ormai completamente rimosse dai suoi dipinti dal 2001, non avrebbero più potuto celare.
Dalle considerazioni sulla diversità e sul disagio che ne consegue nei più, resi saldi nelle loro certezze dallo splendore mediatico di un mondo, che malgrado tutto, si vuole percepire perfetto e patinato, i dodici dipinti della serie Cloni presentati ad Arte Fuori Centro vogliono porre l’accento proprio su quella bellezza rassicurante, ipoteticamente raggiungibile con la donazione di un prototipo umano considerato perfetto. Come dire il superamento degli stessi canoni di bellezza fissati dal pittore greco Apelle, che anche ritraendo la splendida Campaspe, amante di Alessandro Magno, si ispirava sempre idealmente alle parti del corpo di tre modelle diverse.
Oggi tutto questo sarebbe possibile realizzarlo superando i limiti fissati della pittura di Apelle o delle statue classiche ispirate da quegli stessi ideali con veri corpi umani replicabili potenzialmente all’infinito, partendo da un modello umano selezionato per le sue caratteristiche di perfezione e bellezza.
Dopo l’esaltazione dell’apparire, migliorabile con corpi palestrati ed interventi di chirurgia estetica, la donazione umana, attraverso la duplicazione del patrimonio genetico, che data il suo primo esperimento fatto con embrioni umani nel ‘93 presso la Washington University, consentirebbe la riproduzione dell’essere umano anche donando una propria cellula: una sorta di partogenesi come quella di Athena generata unicamente dal proprio padre Zeus. Ma l’uomo, evidentemente, non è divino. Athena nata dall’encefalo del padre è tuttavia resa immortale come tutti gli altri dei; la pecora Dolly, invece, donata in laboratorio nel ‘96, invecchia e muore precocemente nel 2003 perché il suo orologio cellulare non è sincronizzato sulla sua nascita ma sull’età dell’ovino adulto da cui si erano prelevate le cellule embrionali necessarie all’esperimento.
Si deduce allora, che se la donazione dopo la pecora Dolly venisse applicata anche all’essere umano per replicarlo in una serie infinita di soggetti fotocopiati da un esemplare, che in bellezza e perfezione supera la Campaspe migliorata da Apelle come tutte le veline televisive e le tops models internazionali, paradossalmente, n breve tempo, questo esercito di meravigliosi si potrebbe trasformare in una sequela di vecchi precoci, precocemente indeboliti da un sistema immunitaria pericolosamente compromesso.
Si assisterebbe insomma alla vanificazione di ciò che la moderna società mediatica vorrebbe esorcizzare, involvendo essa stessa verso quella diversità imbarazzante analizzata da Epicoco nei dipinti che precedono questi della serie Cioni.
rapporto statunitense Splicing life,a cui ci associamo, rifiuta la donazione umana per molti motivi che la rendono eticamente inaccettabile tra quali, importantissimo e giustificatissimo, il timore di ledere il principio di uguaglianza tra gli esseri umani, assicurato dalla riproduzione naturale della specie che consente alla vita di diffondersi e di evolvere grazie alla diversità naturale.
E quindi la diversità da cui siamo partiti, temuta perché lontana da modelli facilmente con- divisibili — diversità in cui possiamo comprendere la diversità religiosa, etnica, sociale e quant’altro -; è proprio lei, nei rinnovati equilibri epocali a consentire all’uomo, se lo vuole, il miglioramento della personalità, della coscienza e defla propria dignità. Di tuffi quei valori, dunque, che differenziano l’essere umano pensante che costruisce la propria storia personale, che in quanto individua, non può essere duplicata o donata. Ecco perché gli undici doni che Mimmo ottiene dal prototipo figurativo del volto umano che origina la sequenza delle dodici tele vogliono esprimere emozioni a loro negate in quanto privi d’individualità personale: lacrime solcano i loro volti schiacciati in primo piano, come già in Distanze del 2001, risolti con lo stesso splendore pittorico degli anni informali, oggi caricato di significati necessariamente oggettivi per indurci a riflettere. Come suggerisce il segno rosso che delimita lo spazio della tela che racchiude solo volto umano per distinguerlo da quello dei doni replicanti dipinti sulle altre undici tele. Così facendo Epicoco, differenziandolo dagli altri, ne rafforza l’identità umana, ricordandoci anche che con un segno analogo, anni prima tracciato col gessetto su una delle strade della terra di Puglia, già allora rifiutava la condizione del pensiero negato o della lingua tagliata rivendicando il diritto ad un suo piccolo spazio, da sempre da lui riservato all’ irrinunciabile volontà di comunicare.
lvana D’Agostino